Non riesco a smettere di rivivere quel giorno di sole, la mattina trascorsa tra gli scaffali della nostra libreria preferita. Trascorrevamo le ore là dentro – continuo a sentire, chiudendo gli occhi, il profumo dei libri ed il suono delle cicale quel giorno.
Ricordo che ti vidi prendere in mano quel libro: Antologia di Spoon River – questo mi ha colpito di te, così ho capito che eri diversa, che c’era in te qualcosa di speciale – io arrossii, le mie labbra si piegarono, le sopracciglia si arricciarono – in una smorfia tra l’incredulo e il sorpreso. Cioè? risposi divertita – conoscevo quella storia, ma volevo sentirla ancora.
“Quella volta che ti inviai una pagina, sperando di metterti in difficoltà, e nel giro di dieci secondi mi avevi già risposto, indovinasti subito; un libro così particolare, insolito, a tratti macabro, ed entrambi lo conoscevamo bene – pensieroso, lo richiuse d’un colpo poggiandolo sopra l’enorme pila. In macchina, nel tragitto verso la tua casa sul mare, poggiai il palmo della mano sulla tua, e inserii le dita tra le fessure delle tue; era la prima volta che trovavo il coraggio di farlo.
Era inverno, ma nell’aria aleggiava estate. Ero pervasa da un moto di malinconia.
Quel libro mi aveva rimandato subito all’elemento che tormentava la tua esistenza – la morte. Ovviamente lo capii solo in seguito.
Sentivo che quella sarebbe stata l’ultima volta tra quelle pareti colme dei tuoi dipinti che non smettevo di ammirare, con le foto dei tuoi viaggi, in quel villino sul mare, con il prato verde ed il cielo azzurro, l’unico posto in cui il tempo si fermava ed il mio battito accelerava. Ricordo quando scesi giù a prendere i biscotti. Trovai un dipinto appeso coperto da un telo di stoffa; la curiosità mi portò a sbirciare: c’era il volto di una bellissima donna, aveva il tuo stesso sorriso, quel sorriso che mi aveva travolta.
Ti avevo detto che non ero pronta, sapevi che era presto per me.
Mi fanno male tutte le parole non dette, i discorsi lasciati a metà – per timore di essere inadeguata, di ferirti, di frenarti, pensavo che ci sarebbe stato tempo di conoscerci di più, però mi sbagliavo. Fu un errore. Uno dei tanti.
Ma quel giorno il tuo sorriso non aveva più lo stesso sapore, e non era per colpa mia, perché io lo sentivo da prima che partissi la prima volta, ed era ormai impossibile per me tornare indietro, rivivere quel giorno, alla festa in spiaggia.
Ti avevo salutato così – un bacio intenso e una promessa sussurrata tra le ciocche dei miei capelli – Aspettami, quando le tue labbra mi hanno sfiorata mentre mi parlavi e mi tenevi stretta a te. Poi, i tuoi amici ti portarono via. Volevano festeggiarti ancora. Adesso invece, il giorno prima della tua nuova partenza nascondevo le lacrime sotto l’incavo tra il tuo collo e la spalla, inebriata dall’odore della tua pelle, cercavo di ansimare piano, in modo che tu non te ne accorgessi.
Volevo che mi vedessi forte, non emotivamente coinvolta, era così che mi desideravi. Anche se ormai mi leggevi. Il contatto fisico con me era per te probabilmente uguale a quello di tante altre ragazze che di lì a poco avresti conosciuto. Ma ero così sicura di quella sintonia, di quel filo invisibile tra noi, quel qualcosa di puro e semplice allo stesso tempo, ma anche incasinato, quel qualcosa che capita poche volte nella vita e non riuscivo a smettere di sperare. E con tutto il mio essere testarda, nello stesso modo in cui mi aggrappavo a quella malsana idea mi tenevo alle tue spalle l’ultima volta che siamo stati insieme. Accadde tante volte quel giorno, fino al tramonto di quell’insolito gennaio.
L’abbiamo osservato in silenzio, senza muoverci dal letto, dal terrazzo della tua camera – le sfumature del cielo si mescolavano a quelle delle onde, lasciandoci travolgere da un’esplosione di colori; poi mi hai baciata ancora, ed io cercavo di sentire tutto di te, speravo di ricordare ogni attimo perché intimamente sentivo che quella sarebbe stata l’ultima volta tra le tue braccia. In fondo mi sentivo una stupida. Mi avevi resa così, incantata dal tuo sorriso e da quegli occhi impenetrabili che non riuscivo a decifrare.
Ero consapevole del fatto che non ci sarebbero stati altri ricordi oltre quell’anno trascorso insieme. Sapevo che l’orgoglio aveva un prezzo, e che un giorno il destino si sarebbe divertito a presentarmi il conto, e quel peso premeva sempre di più sul mio petto, come il tuo corpo caldo sul mio, e sentivo che non ce l’avrei fatta a stare di nuovo con te continuando a provare quel senso di vuoto. Eri presente ma assente. Dovevo accogliere la realtà, affrontare il dolore che sarebbe venuto, dovevo lasciare che oltrepassasse quella barriera di protezione, ma una parte di me non era pronta a lasciarti andare.
Ma adesso sì, adesso é arrivato il momento di abbandonare per sempre il ricordo di te. Non ti penso più.
Nonostante tutto, non dimenticherò mai queste tue parole “tu sei quel qualcosa che quando l’incontri vedi le cose in un modo diverso..”
Ornella Badagliacca