Era ottobre quando una giovane donna fuggiva dal lussuoso appartamento di Alberto Genovese nel centro di Milano. Durante il primo tentativo di fuga era stata riacciuffata e trascinata per i capelli, costretta a tornare indietro. Prigioniera di un incubo.
Finalmente libera, giunta in ospedale viene visitata da una dottoressa che comprende subito la gravità della situazione: è stata stuprata.
La giovane, riemersa dal torpore causato dalle droghe somministrate da Genovese – durante un sequestro durato 20 ore – racconterà di aver pensato che non sarebbe uscita viva da quella stanza e di aver temuto che non avrebbe più rivisto la sua famiglia.
Ricordiamo che Alberto Genovese è un imprenditore, attualmente recluso nel carcere di San Vittore con gravissime accuse a suo carico: violenza sessuale, detenzione e cessione di stupefacenti, sequestro di persona e lesioni. Gli inquirenti hanno ricostruito il modus operandi di Genovese, che era solito invitare ragazze molto giovani alle sue feste, stordirle con la droga e abusare di loro.
Alla denuncia della diciottenne ne sono seguite molte altre; infatti, prese di coraggio pian piano anche altre ragazze hanno iniziato a ricordare di aver subito violenze. Ho seguito il caso sia sui giornali che in televisione, e i racconti di alcune giovani a “Non è l’Arena di Giletti” mi hanno molto colpita. Con il tempo sono riemersi i ricordi di quelle ore, ricordi che rispondono a verità, testimoniati anche dai video delle telecamere sequestrate dalla polizia in casa: molti psicologi dicono che spesso nelle vittime di violenza – sia fisica che psicologica – si innesca un meccanismo per il quale la mente rimuove per alcuni periodi il ricordo degli atti di violenza subiti, e ascoltando racconti delle altre donne tornano alla mente dettagli sconcertanti, come flashback, immagini, ricordi di dolore.
Oltre alle violenze subite, grande dolore causa nelle vittime l’idea di essere giudicate negativamente, colpevolizzate, e spesso questa paura le porta a non denunciare, proprio per il timore di non essere credute.
E’ chiaro che sarebbe meglio non mettersi in simili situazioni. Il consiglio è sempre di stare attenti, di non frequentare certe feste e di non fare mai uso di droghe, ma ci tengo a dire forte e chiaro che non bisogna colpevolizzare le vittime perché no, non “se la sono andata a cercare”; bisogna dimostrare loro sensibilità e vicinanza. Nulla attenua o giustifica la violenza. Ci sarà bisogno del prezioso aiuto degli psicologi, indispensabile per superare un simile trauma, chissà quanto durerà il percorso di risalita. Noi abbiamo il dovere morale di non giudicare e dimostrare empatia nei confronti di queste giovani, a prescindere dal motivo per cui si trovassero lì.
Una donna ha il diritto di dire no anche all’ultimo e la sua voce dev’essere ascoltata. Genovese è un narcisista perverso che pensava di poter comprare le donne e trattarle come oggetti, che provava sadico piacere nel vedere soffrire. Era solito filmare i rapporti e condividerne i video e le immagini con gli amici. Le donne – bellissime e giovani – erano dei trofei da mostrare, gli atti sessuali le sue prodezze di cui andar fiero e vantarsi.
Dai discorsi che faceva alle ragazze ma anche ai suoi amici emerge il suo becero maschilismo ed evidente disprezzo per la dignità delle donne, ad alcune suggeriva persino di sbrigarsi a trovare un marito benestante, perché – a suo dire – una donna dopo i 27 anni “è da buttare”.
Anche quando una delle giovani vittime ha ritrovato un barlume di lucidità e l’ha implorato di fermarsi Genovese l’ha ignorata e ha ripreso imperterrito a drogarla e ad abusare di lei.
Non tutti però hanno mostrato solidarietà nei confronti delle giovani, e questo dispiace molto.
Sento come dovere morale usare questo strumento formidabile che è la scrittura per lanciare un appello: solidarietà e umanità, dobbiamo aiutare le vittime, dargli voce e mostrare la nostra vicinanza.
Dobbiamo smettere di chiederci perché la vittima si sia trovata lì, se aveva assunto droga oppure no, se è andata con “lui” per soldi o se ne era innamorata. Poiché questi sono dettagli che servono solo agli inquirenti per ricostruire i fatti.
È comunque una vittima, resa inerme contro la sua volontà per essere abusata, non più in condizione di scegliere. Una donna dev’essere libera di vestirsi come desidera, di andare in qualsiasi locale, il consenso può essere tolto anche all’ultimo minuto prima dell’atto sessuale, ogni donna ha diritto di dire di no e tirarsi indietro. Nulla giustifica la violenza, mai. Arriviamo al paradosso in cui è la vittima a doversi giustificare.
Trovo queste giovani donne coraggiose per avere avuto la forza di denunciare, di raccontare le atrocità subite, di parlare nonostante la voce rotta dal pianto, di sforzarsi di ricordare momenti che la loro mente, probabilmente per un meccanismo di protezione aveva celato. Trasmettono un messaggio forte: le donne non devono mai vergognarsi di denunciare.
Spesso le vittime provano vergogna per ciò che gli è successo, quasi come fosse una loro colpa. Tutto ciò è ingiusto, noi dobbiamo aiutare le donne a venir fuori e a denunciare sempre, perché l’unica “persona” che deve provare vergogna è lo stupratore.
Queste giovani donne hanno un lungo percorso davanti a sé per tornare a gioire della vita e per ritrovare fiducia.
Ovviamente il mio discorso vale anche per gli uomini, anche loro a volte sono vittime di violenza; qualunque essere umano, di qualsiasi professione o status sociale, merita comprensione e rispetto: so che il mondo è pieno di uomini per bene che non sfiorerebbero mai una donna, uomini rispettosi che si mettono al nostro fianco per far valere i nostri diritti.
Grandi passi sono stati compiuti nella difesa dei diritti delle donne, c’è sempre maggiore sensibilità su questo tema, ci sono tanti strumenti utili di supporto, tuttavia il percorso per il riconoscimento e conseguente condanna delle violenze è ancora lungo e tortuoso.
Il retaggio culturale obsoleto della donna “che se l’è cercata”, quei commenti pungenti del tipo “chissà come è finita lì”, “chissà com’era vestita..”, sono inaccettabili nel 2021.
Ornella Badagliacca